Torneremo a pescare nel “mare magnum” dei detti dialettali per scoprire, ancora una volta, come la saggezza popolare sappia racchiudere, in poche e semplici parole, delle verità e dei consigli che non conoscono tramonto.
“La coscènsa l’è come ‘l gatìgol, chi l’a sént e chi no ‘l a sént” (la coscienza è come il solletico, chi lo sente e chi non lo sente). Si tratta di un’affermazione direi sintomatica nel riconoscere come, di fronte alla nostra coscienza, non possiamo nasconderci.
Infatti quanti sono coloro che non avvertono il solletico? E allora di conseguenza, come fai a non avvertire il richiamo della tua coscienza? “O pagà, o pregà, o scapà” (O pagare, o pregare, o scappare).
Anche in questo caso considerato l’obbligo, in coscienza, di onorare un debito, si poteva pensare che la preghiera aiutasse magari a saldarlo, oppure, non rimaneva che scappare per non farsi rincorrere dal creditore.
E’ abbastanza frequente rilevare come oggi, sempre più spesso, si trovi gente che né paga, né prega, né scappa! Bisogna avere una bella faccia di “tolla”! “Pensà bé per no pecà, pensà mal per no sbaglià” (Pensare bene per non peccare, pensare male per non sbagliare) Ardua scelta!
“Chi tira de mira, chi suna la lira, chi pesca co’ l’am, i crepa de fam” (chi caccia, chi suona la lira, chi pesca con l’amo, muore di fame) Un monito severo per scegliersi un mestiere redditizio. Scelto il mestiere adatto però bisogna ricordare che “I mestér i dìs: o èndem o tèndem” (i mestieri dicono: o vendimi o curami) e ancora: “No s’ pöl miga fa du mestér in döna olta” (Non si possono fare due mestieri contemporaneamente).
Certo che “Chi è svelt a mangià, è svelt ac a laurà” (chi è svelto a mangiare è svelto anche a lavorare), mentre : “Chi no öl laurà, sento scuse ‘l sà ciapà” (chi non vuole lavorare, cento scuse sa trovare).