Dedica al Fiume Adda di Luciano Ravasio

Terra che il Serio bagna e il Brembo inonda… così viene sempre incorniciata la terra di Bergamo, eppure esiste un altro fiume, un grande fiume, che lambisce i confini provinciali: l’Adda. Lunghezza 313 km, fiume interamente lombardo. Per quelli, come me, nati nell’Isola, l’Adda ha significato il top dei corsi d’acqua; non ho mai sentito nessuno dire “vado a buttarmi nel Brembo”, tutti i metaforici aspiranti suicidi era nell’Adda che volevano gettarsi, per via del ponte eiffeliano di Paderno e perché era “il nostro mare”, come precisa Andrea Maietti, scrittore e poeta lodigiano: «Nonna – disse ad un certo punto Celestino – a te piacerebbe andare al mare?» «Caro il mio nano – disse la nonna – il mare non è per noi poveri. Il nostro mare è l’Adda – intervenne il nonno Costante – è qui a due passi e l’acqua è fresca; l’acqua del mare è salata!» Come ho già avuto modo di ricordare, quando da piccolo cercavo di immaginarmi il mare (i miei fratelli che erano già stati in colonia lo magnificavano a getto continuo), lo pensavo non diverso dall’Adda, solo che non finiva mai nel senso della lunghezza…continuava a scorrere all’infinito “tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi”. Per nóter zét di vai, zét de pianüra ol mar l’era ön oràcol e de s-cèt a me l’figüràe mia diferènt de l’Ada e l’ pitüràe de ért e de celèst… Tra dò file de mucc de sà e de là ‘mpienìe i mé fòi d’ü nàster sensa fì: “Ol mar- i m’era dicc – ol mar no l’ gh’à confì”, ma de che banda, come fàe a ‘ndüinà? (Per noi gente di valle e di pianura / il mare era un oracolo e da ragazzi / me lo immaginavo non diverso dall’Adda / e lo pitturavo di verde e di celeste. / Tra due file di monti di qua e di là / riempivo i miei fogli di un nastro senza fine: / “Il mare- mi avevano detto – non ha confini”, ma da che parte , come facevo ad indovinare?).

L’ADDA HA BUONA VOCE La mia considerazione per l’Adda non è mai venuta meno. Nel tratto bergamasco scivola sinuoso tra prode verdi e scoscese. È un’anguilla, le anguille sono le regine del fiume. Nei miei pensieri è una riviera rinfrescante e silenziosa, per il Manzoni, invece, «L’Adda ha buona voce; e, quando le sarò vicino – dichiara Renzo in fuga da Milano -, non ho più bisogno di chi me l’insegni… E stando così fermo, sospeso il fruscio de’ piedi nel fogliame, tutto tacendo d’intorno a lui, cominciò a sentire un rumore, un mormorio, un mormorio d’acqua corrente. Sta in orecchi; n’è certo; esclama: “è l’Adda!”. Fu il ritrovamento d’un amico, d’un fratello, d’un salvatore». I vati come Carducci parlano di “cerulo” fiume dal “murmure solenne”: I poeti come Solmi cantano Corri, tra’ rosei fuochi del vespero corri, Addua cerulo”. L’Adda riccioluta di spume, carica di case attonite, di bianchi ponti nel gonfio lume della luna… Se un giorno di qui lontano errerò (stella bianca che a tratti ardi e ti spegni laggiù), s’altra in questo impensabile universo avrò stanza, sovente mi piacerà evocarti, bel pianeta terrestre, adornato di dolci fiumi. Sulle sue rive, cito ancora Andrea Maietti, “limpidi fanciulli saremo fino a sera”.   L’ADDA UN FIUME OPEROSO COME I LOMBARDI Oggi sono molti gli estimatori e i cantori del grande fiume (complici i parchi dell’Adda), in passato, invece, scrittori come Sam Carcano lamentavano la scarsa attenzione riservatagli: “Dell’Adda, nessuno s’è mai ricordato. Il Manzoni, nei Promessi Sposi, celebra il lago, e l’accenno al fiume è piuttosto dovuto al capriccio della natura che tra lago e lago, a dispetto d’ogni norma geografica, inserisce quel tronco breve, ricco, impetuoso, che è l’Adda tra Lecco e Olginate. Sorte ingiusta, perché alle acque dell’Adda, l’unico fiume che sia tutto loro, e non segni confini o barriere, i Lombardi debbono un essenziale elemento di vita e di prestigio. Dalla Valtellina, un allineato esercito di giganteschi tralicci ci porta in pianura l’energia che muove i tram di Milano, e che illumina di notte le vie e le piazze. Un mare di luce, che la nebbia fonde, in quella tenue chioma lattiginosa che è l’aureola della città notturna. Ma è appunto in questa praticità che i Lombardi assomigliano al loro fiume leale e discreto, ricco di acque ma schivo di canti, di utilità che scarta gli ozi e gli elogi dei giorni di festa”. Se dovessimo scegliere un aggettivo per definire, in quest’ottica, le qualità dell’Adda, non sbaglieremmo a chiamarlo un fiume operoso. L’Adda ha alimentato in passato i mulini ad acqua, ha fornito la materia prima per irrigare i campi e per un’intricata rete di canali navigabili, ha prodotto forza motrice per i primi opifici, ma soprattutto in riva all’Adda sono nate le prime centrali idroelettriche italiane: quella inaugurata a Paderno nel 1898 e quella costruita a Trezzo nel 1906 (centrale Taccagni, importante testimonianza dell’architettura di inizio Novecento). Fiume adda musica e poesia di luciano ravasio IL PONTE DI PADERNO Alla destra il gran Naviglio Alla manca il più gran ponte Sono due gran meraviglie Poste l’una all’altra in fronte. A Paderno c’è pure il famoso ponte in ferro che scavalca con una sola arcata il fiume. Primo ponte ad arco in Italia, con 151 metri di luce, il ponte S. Michele è alto 90 metri ed è stato inaugurato nel giugno del1889. Ricorda la coetanea Tour Eiffel. L’opera venne paragonata ad “un lavoro di sottili vimini”. L’Eco di Bergamo del 28 maggio 1889 scriveva: “Tutto questo immenso lavoro poi è messo insieme con tale eleganza, che a guardarlo par quasi un lavoro di ricamo, che so io un merletto, i cui stami sono sbarre colossali di ferro e i nodi grossissimi chiodi, dalla capocchia pronunciata e tondeggiante”. Da ragazzi restavamo delle mezzore a guardare in basso attraverso la ringhiera, contemplavamo gli “omini piccolini” come formiche e le macchinine che transitavano lungo la strada alzaia, era una Lilliput abduana. Ancora oggi sono in molti a credere che l’ingegnere che osò progettare una simile meraviglia si sia lanciato nel fiume dall’alto del manufatto appena terminato non potendo sopportare di vederlo crollare al momento del collaudo. “La prova di stabilità – scrive Angelo Mauri – venne eseguita utilizzando un treno composto da tre locomotive da 83 tonnellate ciascuna e 30 vagoni carichi di ghiaia, il cui peso totale era di circa 600 tonnellate. Il convoglio percorse il viadotto tre volte fino a raggiungere la velocità di 45 chilometri orari”. Tutto andò per il meglio e il progettista, l’ingegnere svizzero Julius Rötlisberger, classe 1851, ebbe il tempo di progettare altri ponti. Morì di polmonite il 25 luglio 1911. Il cavalcavia da lui ideato per la linea Ponte S. Pietro – Seregno è diventato, a detta di Manfredo Manfredini, “un monumento che ha accentuato la grandiosità e il senso di wildness [selvatichezza]che i luoghi già possedevano”. Connotandosi come uno “dei più ragguardevoli archetipi di quel territorio”.

Luciano Ravasio

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