Il mese di marzo, con la sua dose di profumo di primavera, è sempre stato contrassegnato nella storia da riti propiziatori di carattere popolare, Riti che in alcune aree bergamasche sono sopravvissuti e che , soprattutto ultimamente stanno riprendendo forza. Dopo l’ondata di modernismo degli Anni Sessanta del secolo scorso bisogna sottolineare che, insieme alle trasformazioni socio-economiche, si era portato via anche le tradizioni locali e parte dell’identità di interi paesi.
Quest’anno il fatto che Pasqua cada il 27 rende il mese particolarmente ricco di manifestazioni religiose e non che a volte affondano le loro radici in tempi immemorabili.
In alcuni paesi, l’inizio del mese è anticipato dalla ‘chiamata di marzo’, una sfilata chiassosa di campanacci e corni che risveglia l’allegria per le strade e il circondario, ma che è l’eco di una pratica magica che rientra nei riti europei di chiamata dell’erba, in tedesco Grasausläuten, che può essere tradotto come ‘scampanata per fare crescere l’erba’. Spesso nella realtà locale non si ha consapevolezza che questi frammenti di memoria del passato raccontano della civiltà celtica precristiana, sopravvissuti nonostante divieti e scomuniche delle autorità laiche e religiose.
Ci sono testimonianze in tutta Italia e naturalmente oltralpe che consentono di dare senso e significato anche a quella che può sembrare una farsa. I ragazzi che salterellando percorrono strade e campi con campanacci, grì, conchiglie sonore e corni ripetono l’antichissima danza propiziatoria degli uomini-sonaglio a cui era affidata la cura della salute dei villaggi e dei campi fin dalla preistoria. Anche loro propiziano il ritorno della bella stagione, passando di casa in casa, ricevendo in cambio qualche leccornia (un tempo uova, formaggio e farina) che viene spesso consumata collettivamente. Il dono di cibo e dolciumi , simile in molti riti che percorrono tutto il calendario dall’inverno fino al trionfo dell’estate , diventa il riconoscimento del loro servizio alla comunità, uno scambio tra la benedizione sonora (una sorta di arcaica preghiera fatti di suoni al posto delle parole) e cibo, in entrambi i casi per la prosperità di tutta la comunità.
Sunà Mars a Dossena
A Dossena il rito di propiziazione della bella stagione e di cacciata dell’inverno con il frastuono dei campanacci ha la particolarità di svolgersi due volte: l’ultimo giorno di febbraio si chiama marzo (ciamà Mars) e l’ultimo del mese di marzo, si “caccia Marzo” ( casà Mars).
Verso le 20,30 parte un gruppo di ragazzi, ragazze e adulti , oggi guidato da Piero Zani, animatore delle tradizioni di Dossena e suonatore di tradizione , che percorre le vie e le frazioni del paese con un gran frastuono di campanacci (ciòche) e corni di becco ( córegn), due strumenti sonori propri del lavoro dei pastori e degli alpeggiatori. L’appuntamento si ripeterà il 31 marzo alla stessa ora e chiunque potrà partecipare, purché munito di ciòca o corno.
Settimana Santa a Roncobello
Passiamo ora in Valbremabana per cercare un rito quaresimale di significato più religioso.
Un tempo il mercoledì, giovedì e venerdì della Settimana santa, in sostituzione delle campane, venivano suonati corni di capra, conchiglie e grì (raganelle) per convocare le persone alle funzioni e per dare il segnale del mezzogiorno.
Corni e lumache (così erano dette le conchiglie sonore) venivano usati anche come mezzi di comunicazione. In paese era molto diffusa l’uccellagione, soprattutto al roccolo. Dalla postazione elevata, il cacciatore usava i segnali convenuti per comunicare con i famigliari o con i colleghi.
Roncobello è solo un esempio di qualcosa che succedeva in ogni paese. Il fatto originale è l’uso delle conchigli, dette anche tritoni, che suonano nella settimana santa in alcuni paesi liguri nel finalese, dove il corno-conchiglia viene utilizzato ininterrottamente dal V millennio prima di Cristo.
Ardesio e Ol Gioedè dè la mésa
Ad Ardesio lo stesso rito si svolge ogni 31 gennaio, sotto il nome di Scasada del Zenerù. Ma la tradizione ad Ardesio riserva anche per marzo un appuntamento altrettanto misterioso.
La notte del giovedì di mezza quaresima, detto, Ol Gioedè dè la mésa, ignoti furfanti segnano con una croce bianca la porta delle ragazze e ‘nonpiùragazze’ del paese che non si sono maritate. Per mesi quel segno resta indelebile a ricordare il misfatto e la condizione delle nubili. Anche in questo caso la burla nasconde un significato uguale e contrario, che sottintende la disapprovazione della collettività di fronte al mancato appuntamento con la fecondità che per millenni è stata la ricchezza anche dei più poveri, che annoveravano dai cinque fino ai dodici figli per coppia. Ad onore del paese, la situazione demografica è stabile dal Novecento. Ma chissà quanto lavoro toccherebbe a quel manipolo di furfanti se, alla maniera di babbo natale, dovessero percorrere anche solo parte della bassa val Seriana!
Vigolo e I corni in corteccia
Dove il rito dell’uso di strumenti arcaici nella Settimana santa è ancora vivo, ed anzi si è riacceso in questi anni, è a Vigolo. La processione del Venerdì viene accompagnata da corni in corteccia, costruiti dai partecipanti proprio per l’occasione, sfruttando il fatto che le piante sono ‘in vigore’ e la corteccia si stacca facilmente.
Il corno in corteccia è documentato, nella stessa foggia e con lo stesso materiale perfino in Inghilterra, a testimonianza di una civiltà rurale che aveva saperi, tradizioni, appuntamenti rituali comuni, perdurati per millenni, nonostante che la Storia ufficiale se ne sia disinteressata ed anzi, con le sue guerre e rivoluzioni, abbia cercato di seppellirli.
” Nelle notti d’inverno
campanacci, corni e cattene
risuonano per chiamare l’erba sotto la neve
bagliori e lingue di fuoco punteggiano il buio
e avvolgono streghe e fantocci,
uomini-sonaglio danzano tra le scintille
per un nuovo inizio.”
Tratto dal libro “Campanacci, fantocci e falò. Riti agro- pastorali di risveglio della natura”, a cura di Giovanni Mocchi e Manuel Schiavi.