Volendo parlare di cose buone, questa volta tratteremo del Bene, in dialetto “bé”.
“Olìga ü bé de l’anima” (volere un bene dell’anima) a qualcuno è il massimo dell’espressione del sentimento che possiamo trovare nelle espressioni dialettali bergamasche. Con il termine “bé”, si indica anche uno stato d’animo: “stà bé” (stare bene), seguito dall’invito a “passàla bé” (spassarsela), al contrario “sto mìa tàt bé” (non sto tanto bene). Se invece si viene rimproverati con: “la tè stàcia sö bé” (ti sta bene) vuol dire che quanto ci è accaduto di male ci farà imparare la lezione, o almeno dovrebbe.
Esistono poi diversi detti e proverbi che invitano al bene: “Chi fà bé i troa bé” (chi fa del bene trova bene) e si sappia anche che “a sconòss ol bé quando s’l’à perdìt” (si conosce il bene, quando lo si è perduto), e ancora “a stò mond bisogna fà del bé a töcc” (a questo mondo bisogna fare del bene a tutti).
Con la giusta cautela: “a s’crèt piö al mal che al bé” (si crede più al male che al bene).
Tuttavia, è abbastanza frequente constatare che, a fare del bene, non sempre si è ripagati con la stessa moneta: “L’è pròpe era che a fà del bé a sto mond a s’gh’à mal” (è proprio vero che a fare del bene a questo mondo si ottiene del male), in versione ancora più esplicita “a fàga del bé a i asègn, a s’ciàpa doma di pèsàde” (a fare del bene ai somari si ottengono soltanto dei calci).
Quest’ultima considerazione, se mai ci è capitato di raccoglierla, non giustifica che non operiamo per il bene, in quanto il saggio detto sentenzia: “a fa del bé si sbaglia mai” (a fare del bene non si sbaglia mai).