Detti saggi “modi di dire dialettali”
Torniamo ai tanti e variegati modi di dire dialettali che poi, nel tempo, assumono la caratteristica di sagge affermazioni, proverbi o definizioni lapidarie.
Vediamo assieme alcuni esempi:
“L’è cume pestà l’aqua ‘n del moltèr” (è come pestare l’acqua nel mortaio) emblematica affermazione che qualifica una fatica inutile.
“Töcc i gròp i rìa al petèn” (tutti i nodi arrivano al pettine) situazione di problemi mai risolti che si accumulano, ma quando non c’era più niente da fare si affermava: “Ghè gna sàncc gna madòne”
Di fronte ad una faccenda poco chiara si diceva: “L’è ü laùr mia tàt ciàr”, mentre di uno che non ne fa mai una giusta: “al né indüìna mai gna öna” oppure peggio ancora: “l’è bù de fa negòt” (un buono a nulla).
Che dire poi di affermazioni come: “Mèt la cua in mès ai gambe” (mettere la coda in mezzo alle gambe) cioè togliersi dai piedi da una situazione poco felice e dove si possono fare brutte figure.
Lo sbruffone invece “al völ fa ol de-piö”, salvo poi “fa marù”. Vuol fare il di più, salvo poi cadere sulle proprie incapacità.
Ma esiste anche la persona che alza la voce o vuole palesare bonariamente una certa forza che in realtà non possiede, allora si dice: “Cà che bòr a l’ pìa mìa” (cane che abbaia non morde). Concludo con l’affermazione: “söche e melù a la sò stagiù” (zucche e meloni alla loro stagione).
Magari potrà sembrare poco moderna per il fatto che ormai siamo abituati ad avere a disposizione tutto l’anno la frutta e la verdura anche fuori stagione, ma, ovviamente, il riferimento non è alla frutta ma al comportamento di persone che, sempre più spesso, vogliono atteggiarsi con spavalderia in modo poco consono all’età che hanno.